
19/09/2017
News
«Il delfino che ride? Non esiste, sbagliato paragonarlo all’uomo»
L’INTERVISTA al prof. Bruno Cozzi -ordinario di ordinario di anatomia veterinaria all’Università degli studi di Padova
«Il delfino che ride? Non esiste sbagliato paragonarlo all’uomo»
Tutto quello che avreste voluto sapere sui cetacei che consideriamo i più intelligenti. «Non hanno olfatto, non percepiscono quasi il gusto. Quando nasce un cucciolo la madre a volte non lo vede, perché gli occhi sono laterali. Lo identifica grazie ai suoni»
I delfini sono mammiferi molto amati, a cui si tende ad attribuire un’intelligenza e un livello di socialità dietro cui spesso si celano dettagli meno noti al grande pubblico. «Il delfino non è un animale che dovrebbe essere definito più o meno intelligente partendo da parametri prettamente umani – spiega Bruno Cozzi, ordinario di ordinario di anatomia veterinaria all’Università degli studi di Padova -, perché il suo cervello si è adattato a un mondo completamente diverso dal nostro, con differenti esigenze ed esperienze sensoriali».
Professor Cozzi, com’è il cervello dei delfini? Potrebbe fare un confronto anche rispetto ad altri animali?
«I delfini hanno un cervello più grande del nostro, in molti casi anche di molto. In media, questi mammiferi pesano 250-300 kg; in base a parametri universalmente accettati, il rapporto del peso del cervello col peso del corpo è superiore rispetto a quanto atteso per un animale di tale massa. Questo non si verifica per molte altre specie: oltre che nei delfini, si registra soprattutto nei carnivori di piccola taglia, negli elefanti e nei grandi primati, ovviamente compreso l’uomo».
Professor Cozzi, com’è il cervello dei delfini? Potrebbe fare un confronto anche rispetto ad altri animali?
«I delfini hanno un cervello più grande del nostro, in molti casi anche di molto. In media, questi mammiferi pesano 250-300 kg; in base a parametri universalmente accettati, il rapporto del peso del cervello col peso del corpo è superiore rispetto a quanto atteso per un animale di tale massa. Questo non si verifica per molte altre specie: oltre che nei delfini, si registra soprattutto nei carnivori di piccola taglia, negli elefanti e nei grandi primati, ovviamente compreso l’uomo».
Oltre alle dimensioni, quali sono le altre caratteristiche encefaliche dell’animale che incidono sulle sue capacità?
«Il cervello dei delfini è complesso, ricco di circonvoluzioni. Le circonvoluzioni determinano l’andamento sinuoso della corteccia celebrale e costituiscono un vantaggio evolutivo, perché consentono a una più estesa superficie cerebrale, ripiegata su sé stessa, di essere contenuta nella scatola cranica. In tutti i mammiferi, l’encefalo, e la cavità cranica che lo contiene, non possono superare alcuni limiti fisici di volume. Anche se nei delfini le circonvoluzioni sono presenti in numero superiore rispetto al cervello umano, lo spessore della corteccia cerebrale (la parte dell’encefalo che raggiunge il massimo sviluppo nei mammiferi) nei delfini è decisamente esiguo. Questo fa perdere ai delfini parte del vantaggio nei confronti dell’uomo e di altri primati, in un confronto che comunque è sbagliato di partenza».
«Il cervello dei delfini è complesso, ricco di circonvoluzioni. Le circonvoluzioni determinano l’andamento sinuoso della corteccia celebrale e costituiscono un vantaggio evolutivo, perché consentono a una più estesa superficie cerebrale, ripiegata su sé stessa, di essere contenuta nella scatola cranica. In tutti i mammiferi, l’encefalo, e la cavità cranica che lo contiene, non possono superare alcuni limiti fisici di volume. Anche se nei delfini le circonvoluzioni sono presenti in numero superiore rispetto al cervello umano, lo spessore della corteccia cerebrale (la parte dell’encefalo che raggiunge il massimo sviluppo nei mammiferi) nei delfini è decisamente esiguo. Questo fa perdere ai delfini parte del vantaggio nei confronti dell’uomo e di altri primati, in un confronto che comunque è sbagliato di partenza».
Com’è organizzata la corteccia celebrale umana e nei primati?
«La corteccia cerebrale è composta da diversi sottostrati, che a loro volta contengono una varietà di tipi neuronali. Nella maggior parte dei mammiferi studiati, compresi quelli a noi più vicini come i gatti, i cani, gli animali da laboratorio e naturalmente gli uomini, parti diverse della corteccia cerebrale contengono tipi neuronali diversi in proporzioni che cambiano a seconda della funzione svolta da quell’area».
Nei cetacei invece?
«Se si esaminano parti diverse della corteccia cerebrale dei delfini si nota che la disposizione degli strati e dei tipi neuronali si ripete in maniera diffusa e costante. Ci sono degli elementi di analogia con gli antenati terrestri dei delfini: la vacca, il maiale e il cavallo, quest’ultimo un parente un po’ più alla lontana. Questo non significa affatto che i cetacei o i loro antenati siano stupidi, ma soltanto che la loro struttura corticale è diversa».
Quali sono, quindi, le principali differenze nell’organizzazione corticale tra uomo e cetacei?
«Il tipo di organizzazione corticale di un uomo, dei primati subumani (scimpanzé, gorilla, orango) e di altri mammiferi (come i carnivori e i roditori) si basa su un sistema a sei strati funzionali, mentre quello del delfino è composto da cinque livelli. Lo strato che manca è il quarto, che per la fisiologia del cervello umano ha un’importanza cruciale: riceve le informazioni dai centri sottocorticali (come il talamo), le riporta agli strati superiori e le rielabora; è composto da piccoli neuroni inibitori, straordinariamente interconnessi. Nel cervello umano e in quello di alcuni animali, le parti più complesse della corteccia possiedono un quarto strato molto ricco; ne è un esempio la corteccia visiva occipitale, una delle parti più complesse dell’encefalo umano. Nei cetacei, il quarto strato non è presente se non in minima parte».
Cosa comporta avere una corteccia a cinque strati invece che a sei?
«Avere una corteccia a cinque strati significa elaborare gli impulsi sensoriali in maniera diversa ai fini della risposta motoria. Specie che presentano un sistema locomotorio molto complesso ma che richiede una gestione meno dettagliata dei movimenti delle dita rispetto ai primati ne hanno un vantaggio: il movimento quadrupedale dei cavalli, così come quello della colonna vertebrale dei delfini, richiede un’enorme complessità nei movimenti, velocità e sincronia: la gestione del movimento avviene prevalentemente per schemi motori generati prevalentemente nella parti profonde dell’encefalo. Lo schema motore è uno circuito neurale che permette all’animale di introiettare una serie complessa di movimenti e renderla propria: questo permette all’individuo di ripetere una sequenza di attivazione muscolare in modo semi-automatico, senza difficoltà continua».
Ci può fare un esempio di schema motore?
«Il meccanismo è simile a quello che avviene nelle persone, quando imparano a guidare: quando impariamo a guidare, dobbiamo utilizzare un sistema che richiede tutta la nostra attenzione corticale. Una volta apprese le principali nozioni di guida, i movimenti diventano fluidi e le nostre azioni possono essere gestite dai generatori sistemi motori. Per i cetacei, il movimento deriva quasi unicamente da questi sistemi: in assenza di una mano prensile la complessità dei movimenti della loro colonna vertebrale viene gestita meglio dai sistemi profondi, sui quali la corteccia cerebrale può naturalmente sempre intervenire».
Inizialmente, abbiamo accennato al mondo sensoriale dei cetacei, che è totalmente diverso dal nostro. Ce lo può descrivere?
«Il mondo sensoriale dei cetacei è molto diverso dal nostro, questi mammiferi si basano infatti su tre sensi principali: l’udito e l’emissione di suoni quando sono sott’acqua, la vista quando sono fuori dall’acqua e il tatto, perché hanno una pelle molto sensibile. I cetacei non hanno papille gustative (sono state descritte in una sola specie assai rara) e recettori del gusto, se non per il salato. I delfini non hanno olfatto, le balene ne hanno solo residui vestigiali. Quando nasce un piccolo di balena o di delfino, non è detto che la madre riesca subito a vederlo perché gli occhi sono laterali. Mamma e cucciolo si riconoscono grazie ai suoni, il mondo del cucciolo è tridimensionale grazie al sonar e ogni elemento trova una sua collocazione grazie a un udito straordinariamente sviluppato, di cui possiamo solo immaginare l’estensione, la complessità e la capacità di rappresentare il mondo maino circostante».
Perché è così importante comprendere e valorizzare questi animali in quanto tali ed evitare un continuo confronto con l’uomo?
«I delfini, come accade per gli altri cetacei, sono soggetti a una continua antropomorfizzazione: la loro intelligenza e la loro socialità è continuamente confrontata con quella umana. Si tratta di un atteggiamento sbagliato alla base. Quando valutiamo una specie, dobbiamo riferirci al mondo in cui vive. Per esempio la maggioranza delle persone si inteneriscono perché a volte i delfini sembrano sorridere. Il delfino non ha labbra, quando ci sembra che rida scopre in realtà apre semplicemente la bozza e mostra i denti. Dovremmo amare questi animali in quanto perfetti per il loro mondo. Si sono evoluti per raggiungere profondità enormi, fattore che ha comportato che alcuni sensi venissero spenti e altri fossero potenziati. La salvaguardia di queste specie deve partire proprio dalla loro incredibile diversità, che non dev’essere raccontata in termini di paragoni con la nostra specie, ma in quanto tesoro a sé stante».
«La corteccia cerebrale è composta da diversi sottostrati, che a loro volta contengono una varietà di tipi neuronali. Nella maggior parte dei mammiferi studiati, compresi quelli a noi più vicini come i gatti, i cani, gli animali da laboratorio e naturalmente gli uomini, parti diverse della corteccia cerebrale contengono tipi neuronali diversi in proporzioni che cambiano a seconda della funzione svolta da quell’area».
Nei cetacei invece?
«Se si esaminano parti diverse della corteccia cerebrale dei delfini si nota che la disposizione degli strati e dei tipi neuronali si ripete in maniera diffusa e costante. Ci sono degli elementi di analogia con gli antenati terrestri dei delfini: la vacca, il maiale e il cavallo, quest’ultimo un parente un po’ più alla lontana. Questo non significa affatto che i cetacei o i loro antenati siano stupidi, ma soltanto che la loro struttura corticale è diversa».
Quali sono, quindi, le principali differenze nell’organizzazione corticale tra uomo e cetacei?
«Il tipo di organizzazione corticale di un uomo, dei primati subumani (scimpanzé, gorilla, orango) e di altri mammiferi (come i carnivori e i roditori) si basa su un sistema a sei strati funzionali, mentre quello del delfino è composto da cinque livelli. Lo strato che manca è il quarto, che per la fisiologia del cervello umano ha un’importanza cruciale: riceve le informazioni dai centri sottocorticali (come il talamo), le riporta agli strati superiori e le rielabora; è composto da piccoli neuroni inibitori, straordinariamente interconnessi. Nel cervello umano e in quello di alcuni animali, le parti più complesse della corteccia possiedono un quarto strato molto ricco; ne è un esempio la corteccia visiva occipitale, una delle parti più complesse dell’encefalo umano. Nei cetacei, il quarto strato non è presente se non in minima parte».
Cosa comporta avere una corteccia a cinque strati invece che a sei?
«Avere una corteccia a cinque strati significa elaborare gli impulsi sensoriali in maniera diversa ai fini della risposta motoria. Specie che presentano un sistema locomotorio molto complesso ma che richiede una gestione meno dettagliata dei movimenti delle dita rispetto ai primati ne hanno un vantaggio: il movimento quadrupedale dei cavalli, così come quello della colonna vertebrale dei delfini, richiede un’enorme complessità nei movimenti, velocità e sincronia: la gestione del movimento avviene prevalentemente per schemi motori generati prevalentemente nella parti profonde dell’encefalo. Lo schema motore è uno circuito neurale che permette all’animale di introiettare una serie complessa di movimenti e renderla propria: questo permette all’individuo di ripetere una sequenza di attivazione muscolare in modo semi-automatico, senza difficoltà continua».
Ci può fare un esempio di schema motore?
«Il meccanismo è simile a quello che avviene nelle persone, quando imparano a guidare: quando impariamo a guidare, dobbiamo utilizzare un sistema che richiede tutta la nostra attenzione corticale. Una volta apprese le principali nozioni di guida, i movimenti diventano fluidi e le nostre azioni possono essere gestite dai generatori sistemi motori. Per i cetacei, il movimento deriva quasi unicamente da questi sistemi: in assenza di una mano prensile la complessità dei movimenti della loro colonna vertebrale viene gestita meglio dai sistemi profondi, sui quali la corteccia cerebrale può naturalmente sempre intervenire».
Inizialmente, abbiamo accennato al mondo sensoriale dei cetacei, che è totalmente diverso dal nostro. Ce lo può descrivere?
«Il mondo sensoriale dei cetacei è molto diverso dal nostro, questi mammiferi si basano infatti su tre sensi principali: l’udito e l’emissione di suoni quando sono sott’acqua, la vista quando sono fuori dall’acqua e il tatto, perché hanno una pelle molto sensibile. I cetacei non hanno papille gustative (sono state descritte in una sola specie assai rara) e recettori del gusto, se non per il salato. I delfini non hanno olfatto, le balene ne hanno solo residui vestigiali. Quando nasce un piccolo di balena o di delfino, non è detto che la madre riesca subito a vederlo perché gli occhi sono laterali. Mamma e cucciolo si riconoscono grazie ai suoni, il mondo del cucciolo è tridimensionale grazie al sonar e ogni elemento trova una sua collocazione grazie a un udito straordinariamente sviluppato, di cui possiamo solo immaginare l’estensione, la complessità e la capacità di rappresentare il mondo maino circostante».
Perché è così importante comprendere e valorizzare questi animali in quanto tali ed evitare un continuo confronto con l’uomo?
«I delfini, come accade per gli altri cetacei, sono soggetti a una continua antropomorfizzazione: la loro intelligenza e la loro socialità è continuamente confrontata con quella umana. Si tratta di un atteggiamento sbagliato alla base. Quando valutiamo una specie, dobbiamo riferirci al mondo in cui vive. Per esempio la maggioranza delle persone si inteneriscono perché a volte i delfini sembrano sorridere. Il delfino non ha labbra, quando ci sembra che rida scopre in realtà apre semplicemente la bozza e mostra i denti. Dovremmo amare questi animali in quanto perfetti per il loro mondo. Si sono evoluti per raggiungere profondità enormi, fattore che ha comportato che alcuni sensi venissero spenti e altri fossero potenziati. La salvaguardia di queste specie deve partire proprio dalla loro incredibile diversità, che non dev’essere raccontata in termini di paragoni con la nostra specie, ma in quanto tesoro a sé stante».
* fonte CORRIERE.IT