
Sub sentinelle contro le “reti fantasma” che inquinano il mare
CORRIERE.IT
Sub sentinelle contro le «reti fantasma» che inquinano il mare
Negli oceani 640 mila tonnellate di attrezzature da pesca abbandonate diventano trappole per i pesci. Il Wwf sta per lanciare in Italia un programma di salvaguardia
di Alessandro Sala
L’acronimo internazionale è un impronunciabile Aldfg, che sta per Abandoned, lost or otherwise discarded fishing gear. La definizione italiana di reti fantasma rende invece particolarmente bene l’idea. Si calcola che negli oceani di tutto il mondo vi siano almeno 640 mila tonnellate di attrezzature da pesca abbandonate, che costituiscono il 10% circa di tutti i rifiuti presenti in mare. Vere e proprie trappole che invadono i fondali o che vengono trascinate dalle correnti, quasi invisibili, che continuano a imprigionare fauna marina e a pescare pesci che nessuno andrà mai a recuperare. Sono 135 le diverse specie segnalate come vittime delle reti fantasma: animali rimasti intrappolati o feriti e, quasi sempre, uccisi. L’azione silenziosa di questi predatori artificiali è letale: gli organismi marini catturati passivamente muoiono per soffocamento, per inedia (ossia l’impossibilità di cibarsi a causa della costrizione) o per le lacerazioni procurate dai tentativi di liberarsi. Nelle maglie finiscono un po’ tutti: animali protetti come tartarughe, foche e cetacei, uccelli che si gettano in acqua per catturare piccole prede, ma anche pesci considerati «target» per la pesca, con danni enormi per l’economia ittica. «Una situazione a cui bisogna porre un freno – dice Donatella Bianchi, presidente del Wwf Italia e da sempre ambasciatrice del mare, che da 26 anni conduce Linea Blu su Raiuno raccontando non solo le bellezze ma anche i pericoli che corrono acque e fondali – Una grossa mano può arrivare da chi quel mondo sottomarino lo ama e lo conosce davvero, ovvero gli appassionati di immersioni». Salvare la biodiversità Il progetto di salvaguardia che l’associazione si appresta a lanciare su scala nazionale si chiama «Wwf Sub» sia perché coinvolge la comunità dei subacquei, sia per la «mission» che si legge in quelle tre lettere: Save underwater biodiversity. «Salvare la biodiversità marina – spiega ancora Bianchi – è l’obiettivo che ci dobbiamo porre. Dobbiamo farlo per tutelare la bellezza dei nostri mari ed incentivare così un ecoturismo sostenibile capace di portare benessere e ricchezza ai territori interessati, ma anche per sostenere i pescatori tradizionali, che sono i primi a essere danneggiati dall’impoverimento dei mari e dalla pesca illegale». Le reti fantasma non sono sempre fraudolente, spesso si tratta di materiale che semplicemente viene perso e non recuperato. Ma ci sono pure i dispositivi piazzati in spregio alle normative. E, in ogni caso, visto che i mari sono sempre meno popolati, i pescatori sono costretti a calarne in numero sempre maggiore, aumentando così i rischi di dispersione. Il Wwf punta al coinvolgimento diretto di tutti coloro che praticano abitualmente immersioni, in una call-to-action che vuole trasformare i sub italiani – dai professionisti ai semplici appassionati, fino a chi si limita ad effettuare snorkeling – in «sentinelle dei mari», pronte a segnalare la presenza di reti e a partecipare in alcuni casi anche alle attività di rimozione. «Il tutto in stretta collaborazione con la Guardia costiera e le autorità locali – puntualizza la presidente Bianchi, ideatrice dell’iniziativa assieme a Leonardo D’Imporzano, sub e divulgatore scientifico, e al biologo marino Franco Andaloro – Abbiamo previsto diverse forme di partecipazione, a seconda dell’esperienza dei sub, ma l’idea di fondo è quella di una grande operazione di citizen science affidata alla comunità degli amanti del mare, che realizzi una nuova forma di controllo e di monitoraggio di quello che c’è al di sotto dello specchio d’acqua». Il progetto ha però anche una ulteriore ambizione: rendere la pratica subacquea sempre più sostenibile e amica dell’ambiente. I centri di immersione che aderiranno all’iniziativa si impegneranno infatti al rispetto di alcune regole etiche e all’adozione di best practice che rendano le immersioni a impatto zero, con l’impegno dei sub a rispettare la fauna marina, a non effettuare pesca subacquea, ad utilizzare materiali e mezzi navali non inquinanti. Nel corso dell’estate appena trascorsa sono già stati sperimentati recuperi di reti fantasma nell’Alto Tirreno, in particolare nella zona delle Cinque Terre o nell’area protetta di Portofino. Dalla prossima primavera il progetto sarà operativo un po’ ovunque. «Sarà – sintetizza Donatella Bianchi – una grande rete buona capace di sconfiggere le reti cattive. Lo dobbiamo al mare e anche a noi stessi».